Mattarella ha fatto davvero la cosa giusta?

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Nel deprimente spettacolo offerto in questi ultimi giorni dalla politica italiana per la formazione del governo tra i trasformisti del 21° secolo e i lustrascarpe di Bruxelles, un ruolo primario, come previsto dalla Costituzione, è stato svolto dal presidente Mattarella.

Facciamo qui qualche osservazione non tanto su ciò che ha fatto nell’ambito del proprio ruolo istituzionale (di norma è nelle crisi di governo che la figura del Presidente assume la maggior rilevanza) ma su ciò che non ha fatto e avrebbe forse potuto fare, ovvero sciogliere le camere ed indire nuove elezioni.

Avrebbe potuto o dovuto agire diversamente? È stata opportuna la scelta fatta?

La giustificazione principale al mancato scioglimento delle Camere l’abbiamo sentita ripetere molte volte come un disco rotto nei giorni della crisi: la nostra è una democrazia parlamentare. Quindi il ragionamento sarebbe il seguente: qualora si trovi un numero di parlamentari sufficientemente ampio da garantire il sostegno al governo, il governo nasce. La Costituzione non approfondisce l’argomento e lascia spazi interpretativi molto ampi sul ruolo del Presidente in questa fase. Stando al significato letterale e superficiale il compito del Presidente sarebbe quello di fare da pallottoliere: facciamo qualche addizione e vediamo se la somma supera la metà più uno dei parlamentari.

Qualcuno pensa veramente che per aspirare a ricoprire la massima carica dello Stato sia sufficiente sapere far di conto?

Pensiamo veramente che i padri costituenti avessero in mente un Presidente siffatto? Oppure il suo ruolo è più profondo? E magari ha a che fare con precise valutazioni politiche, ad esempio, sulla coerenza ideologica delle forze che si vanno ad unire in una maggioranza di governo o sul sentimento prevalente nel popolo?

Se fosse solo un problema di numeri la Costituzione l’avrebbe specificato chiaramente e avrebbe tolto ai futuri Presidenti un mare di dubbi. E invece così non è.

Allora come stanno le cose?

Per dare una risposta ci viene in aiuto il pensiero di Costantino Mortati, Padre Costituente, sul ruolo del Presidente della Repubblica (Istituzioni di Diritto Pubblico, Cedam 1958, Pagg. 369-370): “Sembra più consono all’indole di governo parlamentare considerare la presunzione di concordanza fra corpo elettorale e parlamentare (presunzione che sta alla base della podestà di quest’ultimo di determinare l’indirizzo politico generale dello stato, vincolante gli altri organi) non assoluta, ma relativa, subordinata cioè alla possibilità di un accertamento in ogni momento della sua reale fondatezza. E poiché ciò è ottenibile attraverso la consultazione del corpo elettorale, da effettuare con lo scioglimento anticipato delle camere o con il referendum, occorre affidare ad un organo indipendente dal parlamento un compito siffatto, diretto alla constatazione di eventuali disarmonie fra corpo elettorale e parlamento. Tale organo dovrebbe essere appunto il Capo dello Stato, ed a lui pertanto rimane affidata quella parte della funzione del governo consistente in una suprema sopraintendenza dell’attività degli altri organi costituzionali, non allo scopo di indirizzarla in un senso o nell’altro intervenendovi attivamente, bensì solo per compiere presso gli organi stessi un’opera di segnalazione delle eventuali gravi disarmonie che potessero rilevarsi rispetto al sentimento o alle esigenze espresse dal popolo, o per effettuare un appello al popolo stesso, attraverso l’impiego dell’istituto dello scioglimento anticipato, quando vi siano elementi tali da renderlo necessario o anche solo opportuno”.

Noi alle sedute della Costituente non c’eravamo e neppure Mattarella c’era.

Costantino Mortati invece sì.

Perché mai quindi dovremmo dubitare della sua interpretazione autentica?

Dalle sue argomentazioni derivano una serie di considerazioni:

La prima è, appunto, che non sempre il problema è solo numerico. Non è sufficiente mescolare le mele con le pere per risolvere il problema. C’è un aspetto strettamente politico nel senso ideologico e programmatico del termine. Durante la Prima Repubblica DC e PCI erano le forze politiche prevalenti e lo sono state per molti decenni. Sommando insieme i seggi dei 2 partiti, avremmo avuto maggioranze parlamentari così forti da poter approvare qualsiasi provvedimento. Eppure così non è mai stato per il semplice motivo che le loro radici culturali ed ideologiche erano talmente distanti (se non contrapposte) che sarebbe stato impensabile creare una alleanza di governo credibile.

Nel caso odierno invece è successo il contrario: due partiti divergenti su quasi tutto (anzi uno di questi è nato proprio in contrapposizione a ciò che l’altro rappresenta) hanno rinunciato alla propria dignità politica per governare insieme semplicemente perché c’erano i numeri per una maggioranza che tenesse in vita un governo (e di conseguenza le Camere) evitandone lo scioglimento che avrebbe comportato la decimazione di molti deputati e senatori (soprattutto del M5S). Qualche malalingua ha osservato, molto banalmente, che le campagne elettorali costano e che i debiti contratti per pagarle devono in qualche modo essere onorati; ma se si va tutti a casa poi come si fa a pagare la banca?

Si potrà dire tutto il bene o il male possibile dei partiti della Prima Repubblica ma almeno sul piano del rispetto delle proprie idee i deputati e senatori di allora erano persone serie, al contrario di oggi.

Sotto l’aspetto della stabilità e della coerenza dell’azione di governo, la evidente distanza ideologica tra le due formazioni avrebbe dovuto suggerire al Capo dello Stato prudenza anziché avvallare un improbabile quanto mostruoso esperimento politico nel quale anziché la coerenza con la propria mission ideologica, ha prevalso la forza della disperazione (nel caso del M5S) e la tradizionale brama di potere (nel caso del PD).

È altresì certamente vero che anche in Germania, ad esempio, si è dovuto ricorrere ad alleanze innaturali (SPD con CDU-CSU). La conseguenza sul piano elettorale è stato il crollo verticale dei consensi della SPD a dimostrazione del fatto che l’incoerenza viene punita dagli elettori. Lo stesso rischio lo corre in Italia anche il M5S. Fatti loro.

La seconda considerazione è che la maggioranza espressa attualmente dal Parlamento è estremamente risicata al Senato. Il voto di fiducia ha evidenziato soli 8 voti di scarto, 5 dei quali dai senatori a vita. Una maggioranza così fragile getta i presupposti per una potenziale instabilità che verrà sicuramente a galla in tutta la sua evidenza all’atto delle votazioni su provvedimenti per i quali le posizioni tra PD e M5S sono tradizionalmente distanti. Si potrebbe obiettare che una analoga situazione era presente anche nel governo giallo-verde il quale però aveva cercato di limitare il terreno di scontro sottoscrivendo un contratto di governo, idea valida ma non sufficiente a far reggere l’alleanza (come abbiamo ben visto). L’argomento è trattato in un post precedente (“Salvini ha messo tutti nel sacco” 1/9/2019). Esattamente per lo stesso motivo quindi anche il governo giallo-fucsia potrebbe avere vita breve. Anche sotto questo aspetto, quello della potenziale instabilità, sarebbe stata opportuna maggior prudenza.

La terza considerazione il Presidente avrebbe dovuto farla semplicemente affacciandosi prima sull’aula di Montecitorio e subito dopo affacciandosi sul Paese. Non i sondaggi bensì le elezioni europee e tutte le tornate elettorali alle amministrative hanno restituito un’immagine dell’orientamento politico in Italia ben diverso da quello espresso con le politiche del 2018. È passato solo poco più di un anno è vero, ma le scelte dell’elettorato sono cambiate drammaticamente e non di 2 o 3 punti percentuali: il M5S ha dimezzato i consensi, la Lega li ha raddoppiati, il PD dopo la batosta delle politiche del 2018 è stato poi punito sonoramente in tutte le amministrative successive.

Tradotto ciò significa che: il M5S ha perso la sua spinta iniziale di rinnovamento e insieme credibilità e un mare di voti (e un motivo ci sarà), che il PD non lo vuole vedere più nessuno (meglio tardi che mai) e che l’azione di governo della Lega è andata nella direzione desiderata dalla gente.

L’Assemblea Costituente non avrebbe mai potuto immaginare che un giorno ci sarebbero state elezioni europee e amministrative pressochè a ciclo continuo. Possibile che i risultati emersi non contino nulla? Che cosa intendeva Mortati scrivendo “constatazione di eventuali disarmonie fra corpo elettorale e parlamento” se non esattamente ciò che si è verificato tra il 2018 e il 2019?

Un elettorato schifato ha penalizzato fortemente PD e M5S che ora però insieme – guarda un po’ – governano il Paese.

Il risultato è drammatico e lacerante: questo governo allontana ancora di più le istituzioni dalla gente che si sente giustamente scippata della propria volontà quasi che questa non contasse. Anzi peggio:  la direzione imboccata è diametralmente opposta a quella desiderata dal corpo elettorale.

L’art. 87 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”. Se estendiamo il concetto di unità nazionale alla desiderabile prossimità tra il popolo e le istituzioni che esso dovrebbe esprimere allora ne consegue che questo governo rappresenta il punto più basso mai toccato nella storia repubblicana.

E ciò, per il delicatissimo ruolo che ricopre il Capo dello Stato, è imperdonabile.

Per dirla con Mortati, il sentimento e le esigenze espresse dal popolo avrebbero dovuto rendere lo scioglimento delle Camere necessario e opportuno, cosa che però non è avvenuta.

La quarta ed ultima considerazione è che il Presidente della Repubblica, pur nella perfetta interpretazione del proprio ruolo istituzionale, è e rimane condizionato dalle proprie convinzioni ideologiche. Le sue scelte ed il suo operato quindi possono essere dettate – come per chiunque di noi – da considerazioni personali e di parte. Chi affermasse il contrario affermerebbe il falso e dimostrazione ne sia la preoccupazione e le febbrili attività dei vari partiti quando si tratta di individuare un possibile candidato alla corsa per la nomina del Capo dello Stato.

Il ragionamento vale anche per ciascuno di noi: riusciremmo noi stessi, dopo aver trascorso la nostra vita all’interno di un definito perimetro ideologico ad esprimere improvvisamente una assoluta imparzialità nell’affrontare passaggi politici nei quali le nostre decisioni sono determinanti? Forse sì ma forse anche no.

Banalizzando molto, l’arbitro della finale dei mondiali di calcio Italia-Germania non potrà mai essere italiano o tedesco anche se fossero l’italiano o il tedesco più equilibrati e onesti del pianeta.

O come quel medico, persona sincera, capace, seria, amorevole e dedita al lavoro e alla famiglia che azzecca la diagnosi ma poi, condizionato dalle proprie convinzioni personali, sbaglia terapia.

E il paziente muore.

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2 commenti

  1. Alla base della costruzione europea c’è il paternalismo, personaggi come Prodi o simili hanno esplicitamente detto che loro hanno scelto per noi la cosa giusta, anche perché sapendo le conseguenze di tali scelte, oggi evidenti, il popolo non l’avrebbe mai voluta! Quindi siamo stati per decenni in regime di partito unico (dell’euro della finanza)! Oggi l’unica novità è che per motivazioni internazionali (gli USA si sono stancati dell’imperialismo tedesco) anche in Italia sono nate forze divergenti da tale progetto. Abbiamo visto che i 5s altro non sono che l’ultima carta per mettere una stampella ad un sistema già defunto. Una carta giocata assai male sembrerebbe. Ed ora che i giochi sono fatti credo che sia arrivato il tempo di scoprire le carte e sapremo presto se ci sarà un cambiamento vero, un ripristino almeno parziale della Costituzione

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  2. A parer mio, il comportamento del Presidente della Repubblica, è stato causato da un sentimento ideologico personale; l’obbiettivo era allontanare Salvini e i membri della Lega dal governo a costo di formare una maggioranza instabile; ha voluto prendere tempo.

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