
A livello giornalistico e dei salotti televisivi, con lo scopo di dimostrare la ipotizzata efficacia dei vaccini antiCovid per la prevenzione di forme più gravi di malattia, si fa riferimento sovente a confronti tra gli stessi periodi di due anni diversi del numero dei ricoverati in terapia intensiva e/o dei decessi. Così si mette in relazione il dato di gennaio 2022 (1.700 letti in terapia intensiva occupati da pazienti Covid) con il dato di gennaio 2021 (2.500) e generalmente se ne deduce che il merito di questo contenimento è ascrivibile alla campagna vaccinale che ad inizio 2021 non era praticamente iniziata mentre a gennaio 2022 è ai suoi massimi. Idem per il conteggio dei decessi.
È realmente così? Possiamo affermare con certezza che ci sia una correlazione stretta tra vaccinazione e patologia grave/morte?
Il dubbio è legittimo poiché in questa valutazione forse non si tiene nel dovuto conto di un problema conosciuto in statistica come “relazione spuria” che si ha quando due fenomeni risultano statisticamente correlati tra loro ma non sono necessariamente legati da un rapporto causa-effetto.
Un banale esempio per chiarire il concetto: se osservo per 10 anni di seguito che a primavera arrivano molte rondini e contemporaneamente osservo un incremento del numero dei matrimoni, potrei essere portato a pensare che l’arrivo delle rondini influenzi in qualche modo il numero di matrimoni o viceversa. Ovviamente sappiamo che così non è e lo capiamo intuitivamente perché nel nostro modello non abbiamo considerato una terza variabile (l’aumento delle temperature) che spiega l’apparente ed ingannevole relazione di causa-effetto.
Quindi possiamo affermare con certezza che la diminuzione dei casi più gravi e dei decessi sia determinata dalla vaccinazione? Oppure ci siamo dimenticati di considerare alcune variabili importanti che potrebbero inficiare questa correlazione apparente e spiegarla diversamente?
Le variabili da considerare possono essere più di una:
- La diffusione dei virus viene influenzata dalle temperature e dal clima che può variare da un anno all’altro nello stesso mese. È stato considerato questo aspetto nel modello?
- Il virus muta da un anno all’altro e di fatto si trasforma in un virus diverso con una propria curva epidemica ed una propria stagionalità. È stato considerato questo aspetto nel modello?
- Il virus mutando (come ampiamente dimostrato) modifica la propria morbilità (la capacità di ammalare) e la propria letalità (la capacità di uccidere) con il passare del tempo e oggi ci troviamo di fronte ad una variante dominante assolutamente più mite delle precedenti. È stato considerato questo aspetto nel modello?
- Nel corso del tempo è probabile che i medici di famiglia abbiano sviluppato maggior consapevolezza verso le cure domiciliari tempestive che possono ridurre significativamente le ospedalizzazioni e i casi più gravi e abbiano cominciato a somministrare farmaci efficaci anziché tachipirina. È stato quantificato e considerato questo aspetto?
- Nel corso del tempo gli ospedali possono aver avuto maggior accesso all’utilizzo di anticorpi monoclonali o di terapie ospedaliere più mirate rispetto ad un anno fa con la logica conseguenza di ridurre gli accessi alle terapie intensive. È stato considerato questo fenomeno e considerato nel modello?
- Nel corso dell’ultimo anno la diffusione del virus ha creato una consistente immunità naturale che potrebbe aver concorso alla diminuzione dei casi e dei casi più gravi. È stato considerata questa variabile nel modello?
- Le modalità di conteggio dei malati gravi e dei decessi possono subire modifiche nel corso del tempo semplicemente cambiando i criteri e gli assunti che stanno alla base della segnalazione e della raccolta dei dati nelle singole ASL (se da un anno all’altro decido che chi muore di infarto ma positivo al SarsCov2 è ai fini statistici morto di infarto mentre lo scorso anno era morto per Covid evidentemente il dato finale può variare e anche di molto). È stato considerato questo aspetto all’interno del modello?
Il considerare o meno l’elevata incidenza delle variabili sopra elencate nella valutazione del rapporto di causa-effetto può avere come conseguenza quella di rendere la correlazione tra numero di vaccini somministrati e variazione di mortalità, potenzialmente fortemente spuria e quindi sostanzialmente inservibile sul piano statistico. Quindi se ne deduce che – utilizzando queste logiche – le conclusioni circa l’efficacia vera o presunta di questi prodotti farmaceutici potrebbero non essere corrette o quanto meno poco attendibili in senso strettamente scientifico.
Ma allora se è così, come posso valutare correttamente l’efficacia di un farmaco?
L’unico modo è costituito da uno studio al quale partecipano due gruppi statisticamente omogenei di persone: al primo viene somministrato il farmaco e al secondo viene somministrato un placebo. Questa metodica prende il nome di doppio cieco (né i soggetti studiati né i ricercatori sanno se viene somministrato il farmaco o il placebo e ciò per evitare condizionamenti e distorsioni). Al termine di un determinato periodo di tempo, che di solito nel caso dei vaccini si quantifica in alcuni anni, si tirano le somme e si verifica quante persone hanno sviluppato la malattia e con quale gravità, quanti sono deceduti, quanti hanno avuto effetti indesiderati e quali e così via.
Questo metodo è stato utilizzato dai produttori in fase 3 su alcune migliaia di volontari che tuttavia sono stati osservati solo per pochi mesi (e non per anni) alimentando quindi le perplessità sia circa la reale efficacia protratta nel tempo sia circa potenziali effetti indesiderati su periodi più lunghi che ad oggi ancora non sono determinabili in alcun modo.
E adesso sappiamo anche che i trial sanitari impiegati per validare i c.d. “vaccini covid” erano sostanzialmente falsi. Ma d’altronde, vista la fretta dei proponenti di far soldi, cos’altro avremmo potuto aspettarci?
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