Perché lo Stato non puó fare il “buonista”.

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L’insieme dei cittadini che si aggrega in comunitá forma gli Stati nazionali. I cittadini assegnano agli Stati compiti che essi assolvono nell’interesse generale che spesso travalica, in nome del bene della comunitá, l’interesse individuale. In tal modo lo Stato spesso assolve a funzioni o viene legittimato

ad assumere comportamenti che possono apparire in contrasto con il sentimento di “umanitá” proprio di ognuno di noi.

Ecco alcuni esempi:
– molti di noi possono ritenere disumano privare un individuo della libertá personale per tutta la vita anche se questi ha commesso reati efferati meritevoli della condanna all’ergastolo. In effetti, sotto il profilo squisitamente umano ed anche religioso, la condanna a vita puó sollevare problemi etici e molte sono le associazioni e gli enti che se ne occupano. Tuttavia lo Stato, al fine di tutelare l’interesse generale (in questo caso la sicurezza della comunitá) ritiene che questo sia piú efficacemente ottenibile mettendo il colpevole in condizione di non nuocere agli altri fino alla fine dei suoi giorni;
– molti di noi considerano la pratica dell’aborto come qualcosa di aberrante (e probabilmente lo è) sia sotto il profilo umano sia sotto il profilo religioso: interrompere lo sviluppo di un feto che pochi mesi dopo sarebbe diventato un bambino puó essere considerato inaccettabile e mostruoso. Tuttavia lo Stato, al fine di tutelare la salute delle donne e di non obbligare molte di esse a pratiche illegali e pericolose per la loro vita, ha legalizzato l’aborto preferendo quindi privilegiare in astratto la salute pubblica rispetto al diritto del feto;
– molti di noi possono considerare inaccettabile uno sfratto esecutivo specie quando questo riguardi persone deboli o anziane che di fatto vengono poi costrette a vivere per strada (o in automobile, come molti recenti casi di cronaca hanno documentato). Tuttavia lo Stato, al fine di tutelare il generale diritto alla proprietá, mette in atto gli sfratti esecutivi anche con la forza;
– molti di noi possono considerare inaccettabile non consentire a persone provenienti da altri Paesi o altri continenti il superamento dei confini nazionali anche quando ció avvenga illegalmente ovvero senza averne avuto la preventiva autorizzazione dello Stato o, ancor peggio, non in possesso neppure di un documento di riconoscimento. Tuttavia lo Stato, al fine di tutelare l’interesse generale della sicurezza pubblica, mette in atto tutte le strategie necessarie affinché il fenomeno venga ridotto quanto possibile con l’unica eccezione di coloro i quali ottengono lo status di rifugiato.

Questi 4 esempi, molto diversi tra loro e con diversi gradi di drammaticitá hanno in comune un concetto di fondo: le categorie concettuali in base alle quali i singoli individui regolano le proprie valutazioni circa cosa è bene e cosa è male non hanno nulla a che vedere con le categorie concettuali che invece stanno alla base del comportamento dello Stato. Questa distinzione molto stranamente non viene mai evidenziata nei dibattiti tra opposte fazioni. Ad esempio, tutto il disquisire di questi anni sul tema dell’immigrazione, non dovrebbe neppure avere avuto luogo nel senso che non è oggetto di discussione ció che lo Stato debba fare a riguardo, ovvero tutelare i propri confini. Che ció sia un dato di fatto non è il frutto della mente contorta di qualche xenofobo ma è esattamente quel che avviene in tutti i Paesi del mondo; da nessuna parte viene tutelata o incentivata l’immigrazione clandestina per la molto semplice ragione che il fenomeno perlopiú produce inevitabilmente situazioni di illegalitá, di sfruttamento, di lavoro nero, di disagio sociale, di criminalitá.
Invece i due livelli di ragionamento, quello della sfera emotiva e religiosa del singolo individuo e quello che invece è proprio dello Stato (di diritto), vengono continuamente ed inconsapevolmente mescolati dando luogo ad una inutile e sterile serie di questioni inconsistenti.
È evidente che a livello individuale la reazione nei confronti di chi ha meno di noi sia quella istintiva (e cristiana) di aiutare il prossimo; se vedo un uomo mendicare per strada ho l’obbligo morale (e cristiano) di aiutarlo. Le immagini dei gommoni carichi di disperati dall’Africa suscitano reazioni emotive ma queste appartengono alla sfera personale e non riguardano i compiti e le mansioni degli Stati che infatti, nella quasi totalitá dei casi, hanno da tempo chiuso le proprie frontiere e i propri porti.
Ció che sta avvenendo in Italia in questi giorni è esattamente ció che lo Stato ha il compito di fare: chiudere l’accesso a chi non siamo in grado di identificare (piú precisamente nel caso specifico l’intento è quello di sollevare il problema a livello internazionale dopo lunghi anni di inerzia e indifferenza da parte di tutti ormai abituati a che il nostro Paese fosse l’unica destinazione possibile dei migranti).
Chi sbraita contro l’atteggiamento di Francia, Spagna, Grecia, Malta, Austria, Ungheria ed ora anche dell’Italia perché non accettano immigrati clandestini é come se chiedesse allo Stato di abolire l’ergastolo, l’aborto legale, gli sfratti esecutivi. Ció sarebbe perfettamente ammissibile nell’ambito della sfera e della sensibilitá personali ma è completamente inammissibile nell’ambito dello Stato di diritto. Nell’ambito dell’immigrazione ció si traduce cosí: gli Stati non hanno l’obbligo di accogliere. Gli Stati hanno l’obbligo (per la sicurezza delle rispettive comunitá) di respingere. In una puntata di “Porta a Porta” di qualche anno fa mi colpí la frase dell’allora Ministro degli Interni Angelino Alfano il quale, brandendo in aria il proprio cellulare esclamó: ”io non daró mai ordine, con questo telefono, di respingere i barconi dei migranti” meritandosi cosí il plauso del popolo buonista ma dimostrando al contempo e in quel preciso istante, di non avere capito un accidente del proprio ruolo istituzionale. Se un giudice si rifiutasse di comminare un ergastolo perché eticamente contrario ad esso, sarebbe un buon giudice? Se un Ministro degli Interni consentisse a chiunque di violare i confini del Paese mettendo in potenziale pericolo la sicurezza nazionale sarebbe un buon Ministro degli Interni? Posso provare sentimenti cristiani e caritatevoli nel salotto di casa mia, ma quando sono seduto alla scrivania del Capo del Viminale devo necessariamente ragionare in modo molto, molto diverso. Se non lo faccio, allora devo cambiare mestiere. Puó sembrare cinico ma è esattamente e unicamente cosí. La pena dell’ergastolo è cinica ma lo Stato la consente, l’aborto è cinico ma lo Stato lo ha legalizzato, lo sfratto esecutivo è cinico ma lo Stato vi ricorre tutti i giorni.

Quindi, in base a quanto detto sinora, non compete ai singoli Stati la gestione complessiva del problema migratorio e, semmai volessimo individualmente dare il nostro contributo lo potremmo (anzi dovremmo) fare come libera scelta individuale in base alle proprie sensibilitá. Ma se non è lo Stato a doversi fare carico della questione immigrazione, allora chi se ne deve occupare?
L’unica entitá che puó gestire il problema in maniera efficace e pressocché risolutiva è quella sovranazionale. Solo una comunitá di Stati coordinata ed organizzata puó avere qualche possibilitá di affrontare il fenomeno nella sua complessitá. Le idee a riguardo in questi giorni non mancano.

Ed è esattamente in questa direzione e verso questo obiettivo, finalmente e grazie a Dio, che il Governo italiano sta portando – loro malgrado – i partner europei.

Anche su questo si gioca il futuro dell’Unione Europea.

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2 commenti

  1. Suggerei all’autore di questo articolo di leggere “Sull’Oceano”, primo romanzo italiano pubblicato nel 1889 che affronta il tema della massiccia emigrazione italiana di fine Ottocento.
    Nel marzo 1884 lo scrittore e giornalista Edmondo de Amicis (sì, proprio quello del libro Cuore) decise di imbarcarsi sul piroscafo Nord America, (nel romanzo ribattezzato Galileo) che trasportava fino a Buenos Aires,
    oltre ai passeggeri che viaggiavano per affari o per puro diletto, anche circa 1500 nostri connazionali emigranti.
    Il suo scopo era quello di documentare un fenomeno che stava assumendo dimensioni sempre più imponenti,
    e che a cavallo fra Ottocento e Novecento avrebbe inciso profondamente sulle sorti sociali ed economiche del nostro paese.
    Da questo viaggio nacque, cinque anni più tardi, il romanzo: un affresco, lucido e crudo, su un’Italia povera e analfabeta, costretta a lasciare il proprio paese natale per cercare, altrove, una vita migliore.
    Il grande Oceano, maestoso protagonista della narrazione, diventa il luogo della disperazione e della speranza:
    simbolo di dannazione e redenzione, di sfida e di rinuncia, di incontro e di abbandono, di vita e di morte.
    Poi, torneremo a confrontarci.

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    • gentile Lia, non ho letto il romanzo ma cercherò di farlo. Tuttavia conosco il tema se non altro perché sono il nipote di un emigrante in Argentina. Mio nonno paterno partì dalla Romagna per Buenos Aires, ci rimase qualche anno allevando bestiame e tornò qui per farsi una famiglia. Aveva sì tante speranze, ma anche un biglietto per la nave, documenti in regola, qualche risparmio con se. Lì trovò controlli severi ma anche una terra sconfinata, tutta da costruire e che per questo abbracciava i migranti dall’Europa. Non mi pare la stessa situazione dei tanti che approdano da noi e che in comune con mio nonno hanno forse solo la speranza. Ma questo non sarebbe il problema che invece è più pratico. Per chi arriva non c’è una landa deserta da popolare ma Stati strutturati con seri problemi di occupazione e di spesa pubblica. Chi arriva non è in grado di trovare un lavoro regolare e finisce, ahimè, nelle mani di criminali e sfruttatori. E’ proprio per questo che l’immigrazione clandestina non è tollerata in nessuno dei 208 Paesi del mondo. Neppure in quelli di provenienza dei migranti, sa? L’immigrazione che serve ad un Paese è quella regolare che peraltro in Italia è sempre esistita (le quote di ingresso erano di 200.000 immigrati regolari l’anno) e su questa nessuno ha nulla da ridire. Chi ragiona con i criteri del cuore non sa rispondere mai ad una domanda fatidica: qual è il limite? Quanti ne prendiamo? 1 milione, 20, 50 ? La mia risposta è: per ora zero (come ho cercato di dimostrare in questo mio articolo che Lei forse troverà un po’ crudo https://politicaesocieta2015.wordpress.com/2016/11/02/esiste-un-limite-allimmigrazione/ ). A volte purtroppo bisogna fare i conti con la realtà che spesso è molto dura. Gli Stati purtroppo non possono ragionare alla De Amicis. Sarebbe il caos. Un caro saluto. Andrea.

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